Se
le coincidenze non fossero solo coincidenze ma custodissero un
messaggio o addirittura il destino di
una persona allora potrei raccontarvi che sono nata il 5 agosto, lo
stesso giorno in cui venne posata la prima pietra di Sabaudia. E fu
proprio Sabaudia ad accogliermi quando avevo qualche giorno appena.
La
città sorge nell'Agro Pontino, una vasta pianura a sud di Roma,
e
si caratterizza per
il suo
litorale di dune sabbiose, inserito
nel
più ampio contesto del Parco Nazionale del Circeo.
Fu
lì che i miei genitori decisero di comprare casa nel 1989, una
settimana prima della mia nascita (il 29 luglio, giorno del mio
onomastico! altra coincidenza!).
Era
il terzo piano di un piccolo residence. Le
ringhiere bianche e gialle delle palazzine spiccavano sul nero delle
mattonelle di cui erano rivestite. C'erano più ingressi,
quello principale
dava sul cortile.
Una volta entrati, vedevi aprirsi nel pavimento in porfido un grande
occhio che dava sul parcheggio sotterraneo. Quand'ero
alta meno di un metro cercavo di arrampicarmi per vedere cosa ci
fosse sotto, ma a
malapena riuscivo a intravedere il pavimento rosso. Una scaletta in
muratura, stretta da far passare una persona per volta, ed un
passaggio, nascosto tra i muri di bouganville, ti riportava come per
magia al cortile. Era
lì che
trascorrevo
i pomeriggi con gli amici cimentandoci
in giochi “estremi”, come nascondino, un due tre stella o palla
avvelenata!
Da
casa tutto era vicino: il mare, il Parco, il centro della città, i
giardinetti, le pinete, i negozi. Uscivamo a piedi o in bici.
L'architettura,
le sue forme pure e semplici hanno sempre accompagnato le mie
passeggiate, hanno giocato insieme a me. Come in quella piazza , dove
la trama fitta di linee bianche, che ne disegnava la pavimentazione,
suggeriva a noi bambini di spostarci solo su di esse, come se fosse
un gioco, come se il resto fosse lava incandescente e quelle linee le
uniche vie di salvezza; i "rotoli" (blocchi di travertino
circolari con al centro delle fioriere) e la fontana venivano presi
d'assalto, anche loro facevano parte del gioco; le sedute in legno
custodivano nelle fessure, tra una tavola e l'altra, un
tesoro...quello di ogni bambino distratto passato di lì.
Tutta
la città nel suo insieme evoca tranquillità,
quiete assoluta, quasi inquietante come le Muse di De Chirico. Ed è
effettivamente legata ai suoi dipinti, la poetica della città. In
particolare ad una serie di quadri dipinti da Giorgio De Chirico tra
il 1909 e il 1918, Le Piazze d'Italia. Sabaudia è metafisica
costruita. Fondata nel 1933, la sua architettura fa riferimento al
Movimento Razionalista e ogni suo angolo offre viste incantevoli e
scenari molto simili a quelli rappresentati dall'artista. Ad un
incrocio, vicino al centro, un edificio spicca fra tutti per le sue
tinte audaci, non in linea con quelle del resto della città, e per
le sue forme aerodinamiche. Ed è senza dubbio uno dei luoghi della
città che ha lasciato un' impronta nella mia memoria. Le tessere di
colore azzurro mi ricordo che già si staccavano dal
muro...resistevano ancora i massicci cordoli in marmo rosso Siena
delle finestre e della scala esterna, vera protagonista di tutta
l'opera. Mi ricordo quando era ancora il Palazzo delle Poste e mia
madre ci andava a pagare le bollette. Nell'attesa lo esploravo da
cima a fondo e, quando ero lì solo di passaggio, il mio occhio non
poteva rimanerne indifferente.
Ci
tengo a raccontare un altro luogo di Sabaudia che ho impresso nella
memoria. Lo stabilimento storico dove mio padre e mia madre mi
portavano tutte le estati. Si scendeva alla
spiaggia camminando su una lunga passerella a gradoni in
mezzo alla folta vegetazione delle dune che non ti lasciava intravedere
nulla. Solo a metà strada, dopo quell'attesa in cui ti chiedevi
"chissà come sarà il mare oggi?", finalmente appariva con
la sua forza immensa. A sud, sulla sinistra, ecco che appariva anche
lei: la quinta di verde e di roccia del Circeo. Sul mare diventa una
scogliera a picco, dal profilo vagamente umano, la "maga Circe"
che, secondo alcune leggende, anticamente abitava il monte ed è un
po’ il nume tutelare della zona.
Ma
il vero luogo impressionante del lido erano le cabine di
cemento, aggregate come a formare un villaggio. Dipinte con il colore
dell'argilla, si accordavano con il pavimento di mattonelle in
cemento, simili alla pietra, che si mescolavano in un cromatismo che
variava dall'arancio, al rosa salmone, al ramato. Si aprivano sulla
spiaggia dorata, e risaltavano sul verde delle dune. Il quadro era
diverso se ti trovavi all'interno, tra le "case" del
villaggio e il panorama intorno a te era nascosto dai muri arancioni:
l'unico contrasto ce l'avevi con il cielo, bianco o azzurro che
fosse, era uno spettacolo, metafisico anche quello.
Ma
queste architetture affascinanti non sono nulla
in confronto all'atmosfera che si vive nelle sere di
settembre, quando le spiagge e le strade diventano meno affollate, il
clima più fresco e il cielo si accende di mille colori. Così,
pensando a Sabaudia, mi viene in mente quella città invisibile di
cui parla Calvino, quella in cui "sessanta cupole d'argento,
statue di bronzo e vie lastricate in stagno non contano quanto la
capacità che questa ha, in una sera di settembre, di far provare, in
chi la guarda, invidia per quelli che ora pensano di aver vissuto una
sera uguale a questa e d'essere stati quella volta felici".